Frammenti di tavole del 300 a fondo oro.

Oggi pubblico Frammenti di tavole antiche dipinte,  nella maniera usata nel 200 a Firenze .

 La tecnica : La "tavola" lignea era di solito preparata scegliendo alcune assi di legno stagionato alcuni anni (affinché fosse meno soggetta a deformazioni). In italia e nel sud Europa si sceglievano legni molto diffusi come quelli di pioppo, di tiglio o di cipresso, mentre nell'area fiamminga si usavano legni più rari e pregiati: in ogni caso i risultati in termini di durata nel tempo entrambi i metodi si sono rivelati ottimi. L'importante era evitare legni che contenessero difetti come nodi, o alte quantità di tannino (come il castagno), una sostanza contenuta in molte specie vegetali che talvolta rifioriva anche sulle tavole stagionate macchiando di nero lo strato preparatorio o addirittura la pellicola pittorica. Le tavole erano assembrate in genere in file verticali, tenute insieme da cerniere estraibili sul retro.Il legno, una volta piallato e levigato, veniva impregnato con una o più mani di colla naturale, la cosiddetta "colla di spicchi", ottenuta facendo bollire e restringere ritagli di pelle animale. Poi si procedeva a fasciare le tavole con una tela morbida, preferibilmente tela vecchia (il cosiddetto "cencio di nonna"), che veniva poi impresso con almeno due strati di gesso: uno ruvido di gesso grosso, per livellare, ed uno fine di gesso sottile per creare la base pittorica su cui si procedeva disegnando coi carboncini.

 Lo strato preparatorio era cosí costituito da un impasto di colla animale unita ad una carica inerte costituita in Italia, da gesso (solfato di calcio) oppure, in Fiandra, dal bianco di calce o creta bianca (carbonato di calcio), applicato a caldo con il pennello fino ad otto volte per ottenere una superficie uniforme e lisciata. Durante il XV secolo, in area fiamminga, si procede ad impermeabilizzare il sostrato bianco, applicando una pellicola di olio essiccante, traslucida e incolore o leggermente pigmentata], detta imprimitura. Il procedimento è adottato in Italia a partire dalla seconda metà del secolo, la tecnica essendo già menzionata nel Trattato di architettura del filarete. Oltre ad isolare lo strato preparatorio, impermeabilizzandolo e riducendone pertanto la porosità, l'imprimitura consente anche di facilitare l'applicazione dello strato pittorico rendendo più scorrevole la pennellata. L'imprimitura svolge anche un importante ruolo ottico accentuando il contrasto cromatico del dipinto. Questo effetto è realizzato principalmente attraverso l'imprimitura bianca che essendo altamente riflettente accentua l'intensità luminosa dello strato pittorico sovrapposto.
Se l'opera prevedeva la doratura si stendeva sulla parte da dorare uno strato di bolo, cioè un'argilla rossastra sciolta con acqua e chiara d'uovo. Esiste anche una preparazione in terra verde, usata per esempio nel Nord-Italia. La foglia oro veniva poi applicata per rettangoli che venivano "soffiati" (a causa dell'estrema leggerezza del materiale sottilissimo) su un pennello. La foglia applicata sulla tavola veniva poi schiacciata con il brunitore, una sorta di pennello con una pietra d'agata appiattita e levigata all'estremità, e poi si procedeva a rimuovere le parti in eccesso, che bastava tagliare via con un coltellino non essendo tenute dal bolo sottostante. Spesso l'oro veniva poi inciso, soprattutto nelle aureole, con rotelle e punzoni.Il disegno poteva avvenire a mano libera da parte del maestro oppure, nelle botteghe più attrezzate, veniva eseguito su un pezzo di carta e poi riportato con la tecnica dello spolvero. Per cancellare si usava la gomma pane oppure si spolverava via la polvere di carbone con penne di gallina.
A questo punto si iniziava a stendere il colore. I colori a tempera erano di tre categorie: vegetali, derivati da pietre dure macinate o derivati da sintesi chimiche, spesso ossidazione di metalli. Alla prima categoria appartenevano le tinte come il giallo zafferano, l'indaco, la cocciniglia o le terre e il nero carbone; alla seconda i preziosi blu come l'oltremare di lapislazzuli o la più economica azzurrite; alla terza il bianco di biacca o il bianco di San Giovanni, usato a Firenze. Le tempere erano solitamente sciolte con il tuorlo d'uovo.
La tecnica pittorica nell'arte medievale italiana di solito prevedeva la stesura di velature partendo da quella più scura. Ad esempio per i corpi si partiva da un verde-terra che veniva via via brunito per sovrapposizione fino ad arrivare alle tinte chiare del bianco e del rosa carnicino, che era il cinabrese. A volte restauri sbagliati ottocenteschi per ridare chiarore alle tavole hanno eroso con la soda caustica proprio quegli stati superficiali più chiari, andando ben oltre la velatura della polvere e ottenendo l'effetto contrario di scoprire le velature scure sottostanti.
La pittura avveniva di solito stendendo il dipinto in orizzontale o leggermente inclinato, comunque era un elemento che dipendeva dall'uso dell'artista e dalla grandezza del dipinto da eseguire.Dopo la fase di pittura le opere venivano messe ad asciugare all'aperto, dopodiché si passava alla verniciatura: dopo aver spolverato il tutto si stendeva un velo di gommalacca (ottenuta da una resina vegetale), ma non sulle parti dorate, che altrimenti sarebbero diventate opache. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Pittura_su_tavola 

 Polittico Ognissanti Giovanni da Milano https://it.wikipedia.org/wiki/Polittico_di_Ognissanti


 Frammento del polittico Ognissanti Santa Caterina e Santa Lucia


fondo oro frammeto del medioevo

Cristina Gemellaro